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Indiani d'America   

AMERINDIANI

Indiani d'America

 

Nativi. Così si dovrebbero chiamare gli Indiani d'America. Nella zona delle Grandi Pianure erano stanziate molte nazioni indiane. Per nazione si intende un insieme di tribù o di famiglie. Esse presentavano caratteristiche simili: erano nomadi, basavano la propria economia sul bisonte, usavano armi adatte alla caccia dei grandi animali, utilizzavano bestie da soma (prima il cane, poi il cavallo), erano abilissimi cavalieri. Queste caratteristiche sono state assunte in epoca recente, quando ormai i bianchi erano approdati nel Nuovo Mondo e la loro presenza aveva irrimediabilmente trasformato le culture dei Nativi. Nelle pianure vivevano, tra le altre, le nazioni dei Sioux, degli Cheyenne, degli Arapaho, dei Comanche, dei Crow, dei Kiowa e degli Apache. La loro distribuzione geografica era la seguente. La grande nazione Sioux occupava una vasta zona che dal Minnesota arrivava fino alle Colline Nere ad Ovest e a Sud al fiume Piatte, mentre a Nord non si spingeva oltre il fiume Missouri. Oggi in questi territori si trovano gli Stati del Wyoniing, del Dakota del Nord e del Sud, del Montana, del Nebraska e del Minnesota. Il vero nome dei Sioux (termine derivante da una parola indiana che significa nemici) è Dakota, nel dialetto delle tribù orientali, e Lakota, in quello delle tribù occidentali: hanno entrambe lo stesso significato, cioè alleati. I Sioux erano divisi in tribù tra le quali possiamo ricordare i Santee, gli Oglala (il cui nome significa, nel loro linguaggio, Coloro che stanno nel mezzo), i Minneconjou (Coloro che seminano lungo il fiume), i Piedi Neri (da non confondersi con la tribù anch'essa chiamata Piedi Neri, che non apparteneva al gruppo sioux ed era stanziata più a occidente), gli Hunkpapa (gole tagliate), i Brulè (in francese significa bruciato, scottato), i Senza Arco e i Due Pentole. Alla famiglia dei Sioux, ma loro acerrimi nemici, apparteneva anche la tribù dei Crows, stanziata nella. porzione orientale dell'attuale Stato del Montana. Alleati dei Sioux erano gli Cheyenne, chiamati dai primi "Sha-hi-ye-na", "il popolo dal linguaggio straniero", mentre nella loro lingua essi erano i "Tsis-tis-tas", "il popolo magnifico". Erano confinanti dei Sioux negli Stati del Wyoming e Montana, essendo stanziati tra i fiumi Yellowstone e Piatte; un altro gruppo occupava lo Stato del Kansas, sull'alto bacino del fiume Arkansas. Nemici dei Sioux e degli Cheyenne e loro vicini erano i Pawnee (il nome significa "Como" e deriva dal particolare modo di acconciarsi i capelli). A Nord degli Cheyenne vi erano i loro alleati Arapaho, mentre a Sud, nell'attuale Oklahoma, vivevano i Comanche e i Kiowa. Negli Stati più a Sud vi erano gli Apache e i Navajo. Gli Apache occupavano una vasta zona compresa tra gli attuali Stati dell'Arkansas, dell'Arizona, del Nuovo Messico e del Messico. Essi non possono essere considerati una nazione come quella dei Sioux, in cui le varie tribù avevano contatti politici tra loro. La divisione dei gruppi e dei sottogruppi raramente prevedeva le situazioni di solidarietà, a meno che non vi fossero legami di parentela. Vi erano quattro tribù principali: i Chiricahua, i Mescalero, i Lipan, gli Jicarilla. Esse erano divise in gruppi e sottogruppi che a loro volta si frammentavano in piccole bande. I Chiricahua occupavano il Sud-Ovest del Messico; a questa tribù apparteneva la banda dei Mimbreio. Nel Nuovo Messico erano stanziati i Mescaleros, divisi in sottogruppi, tra i quali figurava quello degli Aravaipa. Infine, più a settentrione, nel territorio compreso tra i fiumi Pecos, Rosso e Arkansas, vi erano gli Apache delle praterie, con molti punti di contatto con le tribù del Nord. I Navajos occupavano l'attuale Stato dell’Arizona. Erano un tranquillo popolo che, a differenza degli Indiani delle Grandi pianure, aveva dimora stabile, non essendo nomadi. Erano dediti all'allevamento di capre, montoni e, in seguito, di pecore. Con la lana prodotta da questi animali, debitamente colorata, venivano tessute delle bellissime coperte, ancora oggi confezionate e vendute. Tutti gli Indiani delle pianure praticavano la pittura. La loro espressione artistica è legata principalmente al culto religioso. Gli sciamani incidevano sulla roccia gli animali mitici, quali l'Uccello del Tuono, che mettevano in comunicazione gli uomini con gli Spiriti sovrannaturali, oppure rappresentavano loro stessi nell'atto di compiere le cerimonie religiose. Non avendo scrittura, il disegno non era solo un mezzo decorativo, ma anche fondamentale per tramandare le pratiche religiose, gli avvenimenti, i racconti e le leggende della tribù da una generazione all'altra. Tipici, soprattutto dei Sioux e dei Kiowa, erano i calendari: anno dopo anno venivano "annotati" gli avvenimenti salienti accaduti al gruppo o al singolo. Sulle pelli di bisonte o di daino, opportunamente trattate, venivano dipinte, con tratto molto stilizzato, scene di caccia, di combattimenti. Simboli geometrici o feticci venivano disegnati sugli scudi che proteggevano gli uomini in battaglia, sui vestiti da cerimonia, sui tepee, sui tamburi di pelle usati nelle danze tribali. I colori usati erano il marrone, il rosso, il giallo, l'azzurro, il verde, il nero. Erano ricavati da argille colorate e dalle radici delle piante. Tutte le tribù si dedicavano anche alla produzione di ornamenti, dapprima ricavati da materiali naturali reperibili sul luogo, quali, tra gli altri, aculei di porcospino appiattiti e colorati. Quando i commerci con i bianchi divennero più frequenti, vennero usate le perline colorate e le conchiglie per decorare i vestiti e altri oggetti. A causa del loro nomadismo, per gli Indiani delle pianure, non abbiamo espressioni architettoniche o oggetti in ceramica. Questi si trovano solo nella parte meridionale degli Stati Uniti, dove, tra l'altro, più forte fu l'influsso messicano. In epoche ben precedenti a quella in questa sede considerata, gli Anasazi (in Navajo significa "l'antica gente", perché Li-precedettero nei territori da loro occupati), chiamati Pue~dagli Spagnoli (pueblo significa, non a caso, villaggio), costituirono vere e proprie città-fortezza: sfruttando spaccature della roccia, edificarono case in mattoni a più piani. Erano senza porte, vi si accedeva da un'apertura del tetto tramite una scaletta asportabile. Tolta questa la casa era inaccessibile: questo, e il fatto che era praticamente impossibile scorgere l'insediamento, rendeva l'abitato praticamente inespugnabile. Si possono ancora ammirare queste costruzioni a Cliff Palace e a Mesa Verde nel Colorado, a Pueblo Bonito nel Nuovo Messico, nel Canyon de Chelley in Arizona. Ma gli Indiani delle Pianure erano nomadi, nell'epoca storica che segnò la loro fine: non potevano dedicarsi all'arte fine a se stessa, non costruivano oggetti in ceramica o case. Andando oltre nella Storia le cose cambiarono ulteriormente. Con l'arrivo dell'uomo bianco, le culture, il modo di vita e persino le tradizioni dei Nativi mutarono radicalmente. Il principale elemento di trasformazione fu rappresentato dal cavallo. Originario dell'America, questo animale scomparve in epoca preistorica, spostandosi nelle terre del Vecchio Mondo. Con l'arrivo degli Spagnoli nel continente americano, fece ritorno nei suoi luoghi nativi in cui, trovando un habitat ideale, riuscì a sopravvivere e a moltiplicarsi. Probabilmente, i grandi branchi di cavalli selvaggi che nel giro di poco tempo popolarono le pianure, ebbero origine dai pochi esemplari scappati agli Spagnoli. In circa 250 anni tutte le popolazioni indiane vennero a contatto con la razza equina. Prima del cavallo uno dei pochi animali domestici delle tribù del Nord America era il cane, utilizzato come bestia da traino, ma anche per scopi alimentari. Con la cattura dei primi esemplari di cavalli vi fu una vera e propria rivoluzione nel modo di vita dei Nativi. Da sedentari quali erano, iniziarono a spostarsi con maggior frequenza. Al cavallo fu attaccato il travois, un traino privo di ruote (i Nativi non conoscevano la ruota), composto da due stanghe, fissate sui fianchi dell'animale, e un piano su cui si sistemava tutto ciò che era da trasportare, cioè il minimo indispensabile, che era poi l'intero corredo della famiglia.Tra i vari cambiamenti portati dal nuovo stile di vita, mutò anche il modo di fare la guerra tra le varie tribù. Si tenga presente che lo stato naturale delle famiglie indiane era quello belligerante. Fare la guerra era un mezzo per acquistare onore e prestigio in seno alla tribù. Venivano compiuti veloci raid, il cui scopo era quello di procurarsi il maggior numero di Cavalli possibile. Infatti sul possesso di questi animali si basava la ricchezza di un individuo, e il furto di cavalli era una delle azioni più valorose che un guerriero potesse compiere. Poco alla volta l'Indiano si trasformò in un esperto cavallerizzo ma soprattutto in un ottimo cacciatore. Mentre prima dell'avvento del cavallo la caccia non era il principale mezzo di sostentamento per i Nativi, essendo questi principalmente agricoltori, in seguito l'arte venatoria divenne talmente importante da condizionare l'intera esistenza del gruppo. La vittima preferita era il bisonte, il "buffalo" americano (spesso tradotto erroneamente in italiano col termine bufalo). Del bisonte si utilizzava tutto: la carne veniva o consumata subito (specie i bocconi prelibati, quali la lingua e il fegato, che spettavano a colui che aveva ucciso l'animale o agli anziani o alle donne incinte) oppure, tagliata in strisce, veniva fatta essiccare al sole, quindi polverizzata e conservata in sacchetti di pelle per essere consumata durante l'inverno. Con l'aggiunta di grasso e di frutta selvatica diveniva il pemmicam, una sorta di brodo molto saporito. Le parti non commestibili della carcassa - pelle, ossa, tendini, corna e zoccoli - servivano per fabbricare utensili, per confezionare i vestiti e le coperture delle tende. La pelle veniva conciata dalle donne, resa morbida e trasformata in abiti, mocassini e borse, cuciti con fili di tendini o di crine per mezzo di aghi di osso; resa impermeabile costituiva il rivestimento della tenda conica, il tepee. Con le ossa, le corna e gli zoccoli si producevano coltelli, punte di freccia, cucchiai, ciotole. Con i tendini e il crine si intrecciavano le funi e le corde per gli archi. Con l'uso del cavallo divenne più semplice cacciare il bisonte: la tecnica consisteva nell'accerchiare il branco e attaccano da più direzioni. Un solo cacciatore poteva occuparsi di una singola bestia, stancandola e quindi finirla anche con un’unica freccia. Infatti un insegnamento tramandato da padre in figlio diceva che se si colpiva la preda nel punto giusto, anche una sola freccia poteva bastare: ad esempio, colpendo tra le ultime costole, il proiettile avrebbe potuto raggiungere il cuore e freddare la bestia, oppure, mirando alla giuntura dell'anca, il bisonte era costretto ad accosciarsi e diventare facilmente raggiungibile dal cacciatore. Per affrontare la mandria, gli Indiani si dividevano in gruppi di notevoli dimensioni, la cui guida era affidata ai cosiddetti soldiers, notevolmente abili e validi, che avevano funzione di polizia. Dovevano mantenere l'ordine tra i cacciatori che erano tenuti a seguire e obbedire alle loro direttive. Ogni uomo portava con sé due cavalcature: ad un segnale stabilito, in prossimità della mandria, si montava il cavallo da caccia e si partiva all'inseguimento dei bisonti. Senza briglie né sella, l'abilità dei cacciatori consisteva nel reggersi con le sole ginocchia ai fianchi della cavalcatura, scoccare frecce o sparare e ricaricare l'arma. Nonostante le grandi possibilità date dal cavallo e dalle armi da fuoco, gli Indiani uccidevano solo il numero di bestie necessarie per il loro sostentamento; miravano agli animali adulti, con preferenza ai maschi; tentavano, in sintesi, di mantenere un equilibrio naturale che permettesse il continuo rigenerarsi delle mandrie che attraversavano stagionalmente le praterie e che essi costantemente seguivano. Il loro nomadismo era infatti dettato dalla necessità di cercare nutriti gruppi di bisonti per soddisfare i loro bisogni. Questi continui spostamenti causavano frequenti scontri tra le diverse nazioni. I Sioux, ad esempio, attraversavano spesso i territori di caccia dei Pawnee o dei Crow, e da ciò ne derivava una continua lotta. L'Indiano, di norma, non era ostile se non provocato. Tra le varie nazioni però non esisteva un rapporto pacifico in quanto la condizione naturale era quella conflittuale. La guerra, come la caccia, era un mezzo per procurarsi onore e prestigio in seno alla tribù. Le spedizioni venivano organizzate da una o più persone che ricercavano il successo, per acquistare o aumentare il loro valore. Spesso i giovani guerrieri seguivano il capo militare, che era un combattente che aveva ottenuto la vittoria in molte battaglie. Bastava che egli failisse una sola missione perché non trovasse più adepti, specie se nella spedizione fosse morto qualcuno. Le vittime di questi scontri interminabili erano limitate, in quanto il massimo atto di coraggio non era rappresentato dall'uccisione del nemico, bensì dal riuscire a toccano con il "bastone dei colpi", un'asta che serviva a percuotere legger mente l'avversario, quindi scappare salvandosi. Altra azione gloriosa era quelia di riuscire a razziare i cavalli di altre tribù. Si tenga presente che le cavalcature migliori venivano legate subito fuori il tepee o addirittura al polso o alla caviglia del geloso proprietario. Le altre erano radunate nel corral, il recinto. L'abilità stava nel riuscire a penetrare nel campo avversario senza farsi scoprire. L'uccidere un nemico era considerata un'azione di poco valore. Secondo le credenze indiane, lo scotennare l'avversario era un rituale che permetteva al vincitore di impossessarsi della sua forza e dei suoi poteri spirituali. L'usanza di prendere gli scalpi dei nemici uccisi non è indiana, bensì europea: sia gli Inglesi che gli Spagnoli offrivano un compenso per ogni nativo ucciso. Come prova veniva portato lo scalpo dell'individuo morto. Ciò che si faceva dopo con lo scalpo era differente tra le varie tribù. Gli Apache scotennavano solamente i Messicani, a sottolineare l'odio profondo che contraddistinse i rapporti tra le due popolazioni. Dopo aver portato lo scalpo all'accampamento, questo veniva buttato: era qualcosa che era appartenuto a un morto, e, come tale, non doveva venir conservato. Era infatti usanza di questa tribù distruggere tutti gli oggetti che erano stati di proprietà dei defunti, persino la casa, tanto era il sacro timore della morte. Presso le popolazioni delle pianure, lo scalpo del nemico era quasi come una medaglia, un fregio, per cui il guerriero lo conservava come trofeo e lo appendeva a un lungo bastone che solitamente veniva posto all'entrata dell'abitazione. Presso i Kiowa, come tra altre tribù, dopo uno scontro, si svolgeva una cerimonia che prevedeva anche la danza degli scalpi. Spesso, dopo una battaglia, venivano presi prigionieri che, se adottati da qualche nucleo familiare, erano completamente integrati nella tribù, qualunque fosse la loro razza. "Contando i colpi" si acquistavano dei punti che davano diritto a particolari privilegi: si poteva aggiungere una piuma, una sorta di medaglia al valore, al copricapo di guerra (che per altro veniva usato solo durante le cerimonie e raramente in battaglia), e si adottavano particolari decorazioni del corpo che permettevano a tutti di capire il valore del guerriero. L'acconciatura di guerra era formata da una striscia di pelle a cui si fissavano varie penne, principalmente di aquila, ma erano pochi coloro che potevano indossano, perché significava possedere un'estrema abilità in campo militare, sia dal punto di vista tattico che strategico. E, a dire il vero, gli Indiani peccavano nell'organizzazione delle loro battaglie: raramente agivano secondo un piano prestabilito ubbidendo al capo della spedizione. I guerrieri alla ricerca dell'onore seguivano il loro estro e operavano per proprio conto. Pochi furono quei condottieri tanto abili da riuscire a mantenere il comando dei loro uomini anche in battaglia. In un primo tempo le armi degli Indiani furono quelle preistoriche: arco e frecce, lancia, scudo e tomahawk (un bastone al cui apice era fissata una pietra). Prima dell'arrivo dei bianchi la funzione della guerra era quella di impedire la formazione un grosso stato e di permettere quindi la sopravvivenza a comunità relativamente piccole. Le armi ancestrali bastavano per combattere altre tribù in scontri poco cruenti. L'abilità nel lanciare le frecce era estrema: cavalcando, un Indiano riusciva a tirare 10-12 frecce al minuto. Tale era e continuò ad essere la bravura degli Indiani nel tirare con l'arco, che durante la seconda guerra mondiale gli Americani li utilizzarono per eliminare silenziosamente le sentinelle nemiche. Ogni guerriero sapeva riconoscere le proprie frecce da segni particolari. Non solo ogni uomo, ma anche ogni tribù aveva frecce caratteristiche: ad esempio gli Cheyenne erano soliti apporre ad una estremità delle stesse alcune piume striate. I Crow, per questo motivo, li chiamavano "Frecce dalle piume striate". Con l'arrivo dei bianchi cambiarono il modo e i motivi per fare la guerra. Con le armi da fuoco che gli Indiani riuscirono a procurarsi divennero abili tiratori che raramente sbagliavario il bersaglio, agguerriti e implacabili perché combattevano per la loro terra, per la loro libertà, per la loro stessa esistenza.Tra i guerrieri più abili vi erano gli esploratori. Il loro compito era quello di precedere la spedizione e di intercettare il nemico, trovare una mandria di bisonti, individuare un eventuale pericolo o il luogo adatto dove porre l'accampamento. Erano abili a scoprire e identificare qualsiasi traccia, a spostarsi rapidamente senza essere visti o sentiti, con qualunque condizione atmosferica e in ogni momento della giornata. Presso i Crow l'esploratore era chiamato "lupo" poiché si tingeva il corpo di grigio e si ricopriva con una pelle di quell'animale. Altri personaggi particolari con ruoli ben definiti sia in periodi di pace che nel momento della battaglia erano i giovani guerrieri scapoli che si univano in società, chiamate dei so!dier. Tra gli Oglala Sioux si ricorda quella dei "Portatori di lance", a cui appartenne Cavallo Pazzo, uno dei più abili guerrieri del popolo indiano; tra gli Cheyenne quella dei temibili "Soldati del Cane"; tra i Crow quella delle "Volpi". Il compito di questi dan era quello di svolgere una sorta di servizio di polizia nel villaggio, organizzarne la difesa e la sorveglianza, proteggerlo dai pericoli, sovrintendere alle battute di caccia. In caso di guerra cercavano di arginare l'irruenza dei guerrieri facendo in modo che nessuno prendesse un'iniziativa autonoma e individuale. Le società si riunivano solitamente in una tenda e, durante questi incontri, i guerrieri, a turno, raccontavano le proprie gésta o quelle dei vecchi, cantavano e danzavano. Nell'ambito della tribù, non possedevano poteri particolari. Anche il capo del gruppo, infatti, era solo una sorta di portavoce, scelto per meriti di guerra, per prestigio familiare, per le conoscenze religiose, per la sua abilità di parola o perché un sogno aveva stabilito che fosse così. Le decisioni non spettavano a lui, bensì alla comunità maschile e dovevanno essere prese all'unanimità Un discorso a parte meritano gli Apache. Essi costituirono un gruppo molto particolare: erano battaglieri fino all'esagerazione, erano un popolo fiero e convinto che tutti fossero nemici, persino in seno alla tribù. Fino da piccoli i bambini venivano educati al combattimento con giochi spesso violenti; ogni insegnamento era teso a salvare la propria vita e a mettere in pericolo quella degli altri. I vari gruppi e sottogruppi erano guidati da un capo che aveva poteri decisiònali, che agiva senza essere affiancato da un consiglio tribale. CiZ non accadeva presso altre tribù della Pianura, come quelle Sioux e Cheyenne, per le quali vi era una differenziazione tra il capo politico, quello militare e quello religioso. Il capo religioso era un uomo estremamente importante. Venne chiamato dagli europei sciamano, nome di origine siberiana che significa "colui che è sconvolto". Gli erano stati dati particolari poteri dal Grande Spirito, o Grande Mistero (così i missionari chiamarono "Wakan Tanka", il creatore del mondo presso gli Indiani delle pianure, e da questi gli erano stati insegnati determinati riti nonché i metodi per curare malattie e ferite. Ogni tribù possedeva la Sacra Pipa, rappresentazione del mondo e dell'unione dell'uomo con il mondo stesso. Ai Sioux era stata donata alle origini: il fornello rappresentava la terra, e con essa era fatto, la cannuccia di legno raffigurava tutte le cose che crescono. Le dodici penne d'aquila erano la rappresentazione di tutti gli uccelli del cielo. La pipa veniva tramandata da una generazione all'altra ed era ritenuta un oggetto tra i più sacri. Era usata solo in occasioni estremamente particolari. Si fumava quando si dovevano prendere decisioni importanti, prima di un consiglio tribale e di una cerimonia. Fumare la Pipa Sacra significava pace e comunione con il cosmo e le altre nazioni. Non essendoci tradizione scritta, tutte le pratiche religiose erano tramandate oralmente ed erano dominio di pochi. Lo sciamano era uno di questi. Egli aveva, inoltre, doti divinatorie e il potere di decifrare i segni degli spiriti. Aveva appreso i poteri medicamentosi delle piante, delle erbe e degli animali anche se spesso le sue cure agivano più a livello psicologico che medico. Con riti particolari egli convinceva il malato che gli spiriti maligni, causa dei suoi malanni, avevano abbandonato il suo corpo. In genere ogni singola tribù credeva che alcuni luoghi fossero sacri perché abitati dagli spiriti. In realtà qualsiasi cosa, secondo le convinzioni dei Nativi, era animata da un essere sovrannaturale. Si spiega così l'estremo rispetto che gli Indiani rivolgevano alla Natura. Essa era parte di loro così come loro ne erano parte integrante: l'Indiano era uomo, pianta e animale, cielo e terra, vento e acqua. Non avrebbe mai violato la Natura perché avrebbe violato se stesso. Per questo motivo tra le popolazioni indiane non esisteva il concetto dell'accumulo, né quello della proprietà privata, concetti che avrebbero violato l'ambiente in cui vivevano e la natura stessa: i beni raccolti erano necessari per soddisfare i bisogni primari, non per costituire scorte che avrebbero impoverito rapidamente le risorse dell'ambiente. La sede degli spiriti erano, per i Sioux, le Colline Nere, e là si recavano per compiere il rito della "Danza del Sole". Questa era praticata da molte nazioni indiane e prevedeva l'auto-tortura per dimostrare il proprio coraggio. Era in realtà un rito molto complicato e cruento, sia di iniziazione che propiziatorio, praticato nei mesi estivi, soprattutto a giugno e luglio. Presso i Siouxie e gli Cheyenne, il rito della Danza del Sole consisteva nell'attaccarsi dei grossi pesi al corpo, spesso ossa e teschi di bisonte, per mezzo di uncini che foravano i muscoli dell'iniziato e che venivano applicati dallo sciamano. Quindi bisognava camminare trascinandosi dietro queste zavorre e resistere fino alla lacerazione dei muscoli. Si poteva accedere alla Danza del Sole dopo essersi purificati, aver eseguito riti particolari e aver digiunato svariati giorni, cosa che aiutava il futuro guerriero a entrare in uno stato di trance. Anche altre tribù praticavano la Danza del Sole, sebbene con alcune varianti: ad esempio, si appendeva l'uomo all'interno della tenda sacra, in modo che rimanesse sollevato da terra, con dei pesi attaccati al corpo. La Danza del Sole era uno dei tanti rituali delle nazioni indiane. Nel loro misticismo, una parte importante era affidata ai sogni e alle visioni. Passata la prima infanzia, un bambino doveva assumere il proprio posto nella società tribale. Durante i primi anni della sua esistenza aveva appreso, spesso tramite il gioco, i precetti principali della vita nelle pianure. Sapeva tirare con l'arco e aveva imparato a cacciare piccola selvaggina. Verso gli otto o nove anni giungeva il momento di procurarsi una visione. Dopo i riti di purificazione, che consistevano nel digiunare e sostare nella capanna sudatoria (una specie di sauna), il ragazzo dov~va vagare da solo fino a che gli esseri sovrannaturali non lo avessero visitato, il che avveniva durante un sogno ò una visione. Quindi tornava al villaggio e raccontava ciò che gli era statodetto dagli spiriti ai saggi della tribù, che interpretavano le sue parole. Ciò che la visione diceva era considerato sacro e inviolabile perché proveniva direttamente dagli spiriti: essa rivelava il futuro di ogni uomo e qualsiasi fosse il ruolo che gli esseri superiori assegnavano al componente di un gruppo era rispettato e ritenuto inviolabile e insindacabile. La visione poteva predire un futuro da guerriero, ma anche da "diverso", da capo o da uomo di religione.Presso alcune tribù, specie quelle del Sud degli Stati Uniti, per provocare le visioni si ricorreva all'uso di piante allucinogene, quali il peyote e il mescal. Dopo l'arrivo dei bianchi fu usato sempre più spesso, per questo scopo, l'alcool. Le visioni e i sogni erano decifrati dai saggi del villaggio, cioè le persone più anziane considerate depositarie delle conoscenze e delle tradizioni della tribù. Per questo motivo erano tenute in grande considerazione da qualsiasi membro della comunità e la loro parola era indiscutibile. Anche le donne, entrate nel periodo della menopausa, godevano di pari stima. Prima di tale periodo la donna era ugualmente rispettata, purché assolvesse ai suoi compiti principali. Tra questi vi erano la concia delle pelli, la preparazione della carne, la pulizia della tenda e l'approntamento delle cose quando fosse giunto il momento di spostarsi, là raccolta dei frutti selvatici; all'uomo competevano la caccia e la preparazione delle armi. Solo dopo che un ragazzo fosse diventato un guerriero avrebbe potuto prendere moglie, non prima di aver fatto la corte alla prescelta nel modo tradizionale, e aver offerto qualcosa in cambio della fanciulla al padre di lei. La ragazza era libera di scegliersi il marito, anche se formalmente era il genitore a procurarglielo. Anche la famiglia della futura sposa avrebbe offerto dei doni a quella dello sposo. A causa del minor numero degli uomini rispetto a quello delle donne, era prevista la poligamia Spesso le mogli erano sorelle tra di loro. Se un uomo rimaneva vedovo, poteva sposarsi con la cognata. Raramente accadeva che le persone non si sposassero, poiché i ruoli erano fissi e prestabiliti, e non poteva accadere che un uomo svolgesse le attività di una donna o viceversa. Il matrimonio aveva cioè una rilevante funzione sociale. Una coppia, di norma, non aveva più di tre o quattro figli, poiché un bambino non veniva svezzato fino a circa cinque anni, e per tale periodo una donna non ne poteva avere altri. A paragone degli Europei, gli Indiani erano più sani, avendo fatto lo stretto di Bering da ostacolo naturale a germi e vinis. L'ambiente ed il rigido stile di vita, inoltre, provocavano una evidente selezione naturale, per cui gli individui più deboli erano destinati a morire in tenera età. Il morbillo e le altre malattie infettive, comuni nel nostro continente, fecero vere e proprie stragi tra le popolazioni native dell'America. I bambini venivano lasciati liberi di vagare per il villaggio, trovando ospitalità presso qualunque tenda. Questi venivano educati, in genere, dallo zio materno che si premurava di addestrare il ragazzino alla sopravvivenza, insegnandogli a cacciare, a riconoscere i suoni e gli odori dell'ambiente circostante, a difendersi dal nemico, a cavarsela in ogni situazione, preparandolo ad acquistare il proprio valore sociale in seno alla tribù. I bambini imparavano la maggior parte delle cose per esperienza diretta: nessuno li avrebbe fermati se avessero voluto toccare il fuoco. In questo modo non si sarebbero più scordati che esso brucia. I giochi dei piccoli ricalcavano le attività dei grandi che erano riprodotte nei minimi particolari. Gli adulti, specie gli anziani, spesso stavano a guardare esprimendo la loro approvazione. Fin da piccoli, gli Indiani imparavano ad usare il linguaggio dei gesti, che serviva a comunicare, con l'uso delle mani e delle braccia, tra tribù che parlavano lingue diverse. Era universalmente noto e tutti lo capivano. Oltre a questo mezzo di comunicazione, l'Indiano usava i segnali di fumo, quelli eseguiti con le coperte, quelli determinati dal movimento del cavallo e del cavaliere, quelli con gli specchi. Tutti questi mezzi erano talmente perfetti che si potevano trasmettere informazioni nei minimi particolari senza emettere un suono. Si poteva comunicare, ad esempio, la distanza e la consistenza di una mandria di bisonti facendo muovere il cavallo in determinate direzioni e con precise mosse. Anche gli Americani adottarono i linguaggi muti degli Indiani delle pianure, non solo per comunicare con i Nativi, ma anche per "parlare" tra di loro, quando la distanza o la situazione non permettevano scambi di informazioni a voce o per iscritto. Non solo. Molte denominazioni geografiche portano ancora oggi nomi indiani: valga per tutte l'esempio di molti Stati americani che hanno nome indiano (come, ad esempio, Oklahoma "il popolo rosso", Missouri "il grande fiume", Mississippi "il grande fangoso", Texas "amici", Idaho "salve", e molti altri ancora). Gli Indiani delle pianure vivevano in tende coniche formate da pertiche di legno ricoperte da pelli impermeabilizzate di bisonti. Erano decorate con disegni che narravano le leggende della tribù o le prodezze del proprietario. All'apice della tenda vi era un buco che permetteva la fuoriuscita del fumo del falò all'interno. Il pavimento era ricoperto da pelli di bisonte. Gli Indiani delle pianure, come furono i Sioux, gli Cheyenne, i Comanche, cambiavano il loro campo in continuazione ed avevano necessità di portarsi dietro anche la casa: avevano così creato un'abitazione resistente ma anche facilmente trasportabile. Questa era il tepee. I Navajos, invece, erano sedentari, si dedicavano prevalentemente all'allevamento ovino e alla tessitura. Le loro abitazioni erano quindi permanenti, di legno rivestite di fango. Erano chiamate hogan. Anche gli Apache abitavano in abitazioni fisse, ricoperte di fango essiccato al sole (wickiup). Solo nel periodo in cui furono perseguitati dai Messicani vissero in caverne praticamente inaccessibili che offrivano loro contemporaneamente un riparo e un nascondiglio. I Nativi furono costretti, dopo anni di lotta contro i bianchi, ad abbandonare le loro terre, il loro modo di vita, le loro tradizioni, le loro case, le loro religioni e persino il loro modo di pensare: tutto questo in nome della "civiltà" che ebbe come unico risultato quello di fiaccarli psicologicamente e gettarli in un abbattimento morale da cui ancora oggi non si sono ripresi appieno.


QUESTE DUE MEDITAZIONI INDIANE DANNO UNA PICCOLA IDEA DI COME IL POPOLO INDIANO AMERICANO VIVEVA, E CREDO CHE TUTTI NOI DOVREMMO PRENDERE ESEMPIO DA UN POPOLO FIERO E RISPETTOSO DELLA TERRA E DI TUTTI GLI ESSERI VIVENTI......


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